“Buongiorno, avrei bisogno di aiuto: sono in ansia per mia figlia che vive all’estero. Penso che non stia bene e non so come aiutarla”
Anna (nome di fantasia) è una donna di 58 anni, si presenta in consultorio e chiede aiuto per un motivo ben preciso: è preoccupata per la figlia di 22 anni che vive all’estero e che per telefono le sembra non sia tranquilla, serena. Vorrebbe poterla aiutare e non sa come fare.
Anna è sposata da circa quarant’anni, non ha mai lavorato, non ha la patente di guida e non ha mai viaggiato da sola.
La accolgo nel salottino del consultorio e, dopo essermi presentata, le parlo della figura del consulente della coppia e della famiglia, specificando le nostre competenze e gli obblighi deontologici. Le spiego le modalità della relazione d’aiuto: un percorso di circa dieci o dodici incontri in cui si lavora insieme per aiutare la persona a tirare fuori le proprie risorse che possano sostenerla nel fronteggiare la situazione di difficoltà nel qui e ora.
“In cosa posso esserle utile?”, “Cosa l’ha spinta a rivolgersi al Consultorio?”, “Quale argomento vorrebbe affrontare?”
La accolgo come una persona speciale, la lascio parlare, la ascolto, cominciamo a instaurare un rapporto di fiducia. Sentirsi in un luogo confortevole e protetto l’aiuta ad aprirsi. Comincia a esporre il problema che l’ha spinta a rivolgersi al consultorio, comunica apertamente le sue difficoltà, appare desiderosa di affrontare la situazione che la rende preoccupata: affrontare meglio la preoccupazione per la figlia che vive all’estero e che spesso cambia lavoro, città e fidanzato. Non sa cosa dirle per tranquillizzarla e come aiutarla nonostante la distanza.
Ma, al di là del motivo che l’ha spinta a chiedere aiuto, colloquio dopo colloquio, emerge più chiaramente che sta vivendo la sua vita con stanchezza, delusione e insoddisfazione.
Dopo alcuni incontri comincia a rendersi consapevole del bisogno che ha di prendersi cura di sé stessa. Come racconta lei: “Nella mia vita ho sempre pensato agli altri” ai genitori, alle sorelle, alle figlie, al marito, ha sempre cercato di appianare ogni discussione e porta con sé ora la pesantezza di questo compito e la delusione (che si esprime talvolta con la rabbia) di quello che sta vivendo oggi nella sua solitudine.
Quando lei stessa inizia a essere consapevole che altro sta emergendo dai suoi racconti, comincia a riflettere sui suoi punti di fragilità e sui suoi punti di forza, su cosa vuole cambiare e su quale obiettivo vuole concentrarsi: raggiungere una maggiore autonomia: “Vorrei essere più indipendente nelle decisioni, meno condizionata dagli altri, più libera di esprimermi”. Vorrebbe pensare in maniera più positiva, sente il bisogno di ascoltarsi di più e di pensare più a lei, di fare quello che si prefigge… senza boicottarsi e senza farsi fermare dagli ostacoli. Vorrebbe viaggiare, anche da sola, per gestire le giornate come meglio crede, senza interferenze e senza essere obbligata a fare ciò che non vuole.
Raccontando la storia della sua vita emerge che varie volte in passato ha saputo gestire da sola le varie situazioni difficili che le sono capitate, ma tante volte ha dovuto tacere, non dire quello che pensava per il “quieto vivere” come dice lei e ora con difficoltà riesce a esprimere quello che sente, quello che vuole, anche alle persone che le stanno più vicino.
Anna spesso confronta la sua vita con quella degli altri perché la immagina meglio della sua. Vuole sempre appianare, coprire, nascondere, sembra non lasciare spazio alle sue emozioni, le controlla e questo la blocca nelle relazioni. Racconta del suo rapporto freddo con le figlie e della sua preoccupazione per non aver saputo comunicare loro affetto. Avverte la mancanza di carezze e abbracci.
Dal suo racconto (verbale e non verbale) avverto la stanchezza e le difficoltà oggettive che la bloccano, ma anche la forza che è in lei e che le danno la spinta di progettare altro per sé.
Con ammirazione e rispetto ascolto e accolgo le emozioni di Anna, i suoi pianti interrotti, i suoi accenni a una infanzia difficile dove ha imparato, per sopravvivere, a “coprire”, a “difendere”, a “nascondere” i propri sentimenti, a crescere in fretta, a dedicarsi agli altri passando sopra ai propri bisogni perché c’era altro a cui pensare. Osservo e ascolto come vive le situazioni oggi, e mi trovo a percorrere insieme a lei questo tratto della sua vita.
La consapevolezza di sé, l’attenzione ai propri bisogni, il coccolare e accogliere il bambino che è in noi e il vivere da adulti nella realtà che ci circonda con responsabilità sono percorsi talvolta lunghi e difficili da affrontare da soli. Riuscire ad avere un buon equilibrio tra Bambino-Genitore-Adulto, tra il fare ciò che penso, il pensare ciò che provo, il provare ciò che sento, è un bel traguardo, non sempre semplice da raggiungere, senza un aiuto.
Con Anna ho instaurato un bel rapporto di empatia, questo mi ha aiutato a comprenderla, a calarmi nei suoi panni, ma senza perdere di vista la mia identità.
La relazione diventa il “luogo” di incontro in cui sperimentare l’accoglienza incondizionata, l’empatia e la congruenza del consulente familiare. L’ascolto attento, infatti, anche del silenzio, e il giusto ed equilibrato coinvolgimento empatico del consulente familiare, muovono il cambiamento nella persona che chiede aiuto, la quale entra in dialogo con sé stessa e prende coscienza delle proprie potenzialità positive.
Abbiamo fissato delle piccole mete, possibili e verificabili, per arrivare all’obiettivo che si era prefissata e che aveva esplicitato nel contratto. Questo l’ha aiutata ad avere più coraggio, più forza nell’affrontare i rifiuti o i giudizi negativi altrui.
La consulenza familiare ci apre a un mondo nuovo, ci porta ad affrontare nuove difficoltà e ci mette alla prova, perché tutti noi abbiamo un modo di vedere e di vivere le situazioni che la vita ci offre. La consulenza familiare ci allena a essere persone autentiche, mature, equilibrate e ci aiuta a saper ascoltare attentamente, ad accogliere senza pregiudizio, senza preconcetti, ad aprirsi all’alterità. Ci aiuta a capire l’importanza di fare propri l’aspetto materno (che contiene) e paterno (che spinge verso l’autonomia) della consulenza.
Ci aiuta a fare spazio in noi stessi, non solo all’altro, ma anche a quella parte di noi che emerge proprio durante la relazione d’aiuto. E ogni relazione di aiuto diventa unica, irripetibile e arricchente.