Franca (nome di fantasia) è una donna di 46 anni, di bell’aspetto, madre di tre figli avuti da due relazioni diverse. Di lavoro fa la badante.
Arriva in consulenza inviata dal suo medico di base al quale confida la sua sofferenza.
Si accomoda sulla sedia, fissa lo sguardo su di me, permettendomi di percepire dai suoi occhi lucidi e gonfi di lacrime, che un dolore importante abita il suo cuore.
Dopo le opportune presentazioni, le chiedo il motivo della sua richiesta d’aiuto. Franca risponde di non sapere da dove iniziare il suo racconto. È confusa e disorientata, ha bisogno di uno spazio di tempo per ambientarsi e fare contatto con se stessa.
Le offro intanto un caffè, che accetta molto volentieri dicendo: “Trovo strano che qualcuno prepari qualcosa per me, in genere sono sempre io che faccio qualcosa per gli altri…!”
Sono queste le parole che danno inizio alla consulenza.
Franca afferma che per lei l’amore è un elemento essenziale nella vita, che amare significa donarsi completamente all’altro senza riserve, senza pretendere nulla in cambio.
Amare è FARE per gli altri… sempre… incessantemente… sempre e solo per gli altri.
Il sistema di valori che ognuno apprende fin da piccolo…
Nella sua vita ha sempre dato agli altri, ma dagli altri non ha mai ricevuto lo stesso amore e la stessa considerazione. Le sue parole mi fanno intuire che da lì a poco qualcosa di intenso sarebbe emerso. Percepisce subito un ascolto attento e senza giudizi. Questo le permette un’apertura sempre più fiduciosa e puntuale.
Quando le rimando: “l’amore che doni agli altri è lo stesso che provi per te stessa?” Franca si blocca, come se qualcosa la stesse paralizzando e dopo alcuni minuti risponde travolta da una intuizione che la porta a una prima e fondamentale consapevolezza: “In verità io non mi sono mai amata… per gli altri mi sono sempre annullata completamente!”
A questo punto emerge il vissuto di Franca, nelle sue parole confuse, l’immagine della sua sofferenza inizia a prendere forma e significati attraverso un processo di consapevolezza doloroso e faticoso.
La ragione della sua richiesta di aiuto fa fatica a verbalizzarla. Lentamente emerge una relazione coniugale fatta di prevaricazione, continue squalifiche, insulti e ogni altra cosa che possa farla sentire una nullità. Tanto che alla fine è giunta a crederci lei stessa.
Le sue parole fluiscono come un fiume in piena, accompagnate da un pianto sordo e strozzato. Racconta la sua storia.
Aveva 15 anni quando scopre di essere incinta di un ragazzo di diciotto. La madre casalinga e catechista e il padre uomo integerrimo e attento alle esigenze familiari, che considerano questa figlia troppo vivace e ribelle, costringono la piccola e grande Franca ad assumersi le sue responsabilità.
Per non scandalizzare ulteriormente il piccolo paese in cui vivono, i due ragazzi sono costretti a sposarsi e ad accogliere il bambino, cui Franca non avrebbe rinunciato per nessuna ragione. La relazione si rivela subito conflittuale e a tratti violenta, naufraga a breve in un divorzio lungo e sofferto.
A distanza di tempo, quando le sue vicende diventano solo un brutto sogno da rimuovere F. incontra un nuovo amore. È felice, ma anche molto spaventata dall’idea di poter rivivere l’incubo. Decide tuttavia di darsi una nuova opportunità convincendosi che questa volta sarebbe stato diverso.
Tutto procede bene. Lei pronta ad amare nel modo di sempre: spendersi per tutti e a costo di ogni sacrificio.
Da questa nuova relazione nascono due figli ai quali dedica tutta se stessa perché per lei la famiglia è un dono inestimabile! È felice! Un giorno però qualcosa la riporta al passato: una prima lite furiosa con il marito.
Di lì a poco, offese, squalifiche e continui atti sottili di prevaricazione diventano la norma della quotidianità. Questi accadimenti risvegliano in lei il dramma del passato che riemerge dagli abissi come un mostro marino pronto a distruggere di nuovo la sua vita. F. è spaventata e disorientata… sconvolta! Questa volta però è qui, pronta a chiedere aiuto.
Durante gli incontri Franca ricorda quando, da bambina, per sfuggire alle punizioni del padre, fino a quel momento definito un padre premuroso, si nascondeva sotto il tavolo. In un passaggio riaffiora il ricordo di quando il padre le diede uno schiaffo.
F. riconosce in quello schiaffo l’origine dei suoi atteggiamenti di sottomissione e accondiscendenza. Pronta a impegnarsi all’ubbidienza e al rispetto, per manifestare il suo amore e sentirsi meno in colpa per quanto subiva. In poche parole diventare degna di essere amata!
F. prende consapevolezza di questo processo e afferma:
“Mio padre non avrebbe dovuto darmi quello schiaffo, quel gesto, ricevuto dalla persona che amavo tanto e che credevo mi amasse, mi ha convinta che fosse giusto e che fosse per il mio bene”.
F. inizia a impegnarsi per interrompere gradualmente questo meccanismo; inizia pian piano a venir fuori dal suo rifugio. Inizia a guardarsi con tenerezza, ad avere fiducia in se stessa, riconoscendosi degna di amore anche da parte di se stessa.
“A un certo punto della mia vita ho chiesto aiuto… non sapevo cosa fare , non sapevo prendere decisioni. Ero confusa, in un vortice senza uscita. La mia consulenza è stata molto faticosa; un percorso in salita passo dopo passo era come raggiungere la vetta più alta.”
La sua confusione iniziale a poco a poco inizia a dissolversi attraverso un accompagnamento che le permette di volgere lo sguardo verso l’interno, verso se stessa. F. all’inizio del percorso non sapeva da dove iniziare il suo racconto, perché non aveva mai provato a fare contatto con se stessa. E dunque sensazioni, desideri, emozioni, pensieri, immagini, erano aggrovigliati e confusi, tanto da non permetterle di fare distinzione, né di averne una chiara percezione.
“Con quanta presunzione entra la sofferenza dentro di me.
Con quanta forza la devo accogliere. La vedo arrivare come una lancia… poi la sento tutta… la sua forza… la sua pressione.
Il dolore lo sento forte, forte, forte, da farmi mancare il respiro. Poi lo sento uscire piano e io lì, esausta e sfinita.
Mi asciugo le lacrime, ho il fiato corto e ancora il petto dolorante.
Mi lego i capelli, mi guardo allo specchio… mi sorrido per un attimo e dico: è passato… coraggio è passato!’
Dai colloqui che si sono susseguiti è riuscita a intravedere sullo sfondo i suoi vissuti. Non il perché di certe situazioni, ma il come esse sono accadute e mantenute nel tempo dal suo atteggiamento passivo e rassegnato.
Inizia a riconoscersi la responsabilità personale della propria vita e del corretto funzionamento nelle relazioni con gli altri.
Questo processo ha permesso anche di prendere consapevolezza dei dati oggettivi e soggettivi delle sue esperienze “nel qui e ora”, dalla situazione presente esplorando gli schemi comportamentali, gli approcci, attese, paure, abitudini e pregiudizi che impedivano un contatto diretto tra lei e la realtà circostante, imparando a riconoscerli per evitarli o modificarli.
F. Afferma di sentirsi come una farfalla caduta nella tela di un ragno.
Quel ragno è suo marito che, con i fili da lui tessuti la tiene viva, ma prigioniera.
A ogni incontro F. s’impegna a dare un nome a quei fili e a tagliarli definitivamente: il filo dell’accondiscendenza, il filo della sottomissione, il filo del sospetto, il filo delle punizioni, il filo del timore, il filo del possesso e dell’appartenenza ecc.
Recisi tutti i fili F. spicca il volo verso la libertà e l’amore per se stessa.
“È stata dura rivedere la mia vita a pezzetti, ma grazie all’aiuto, al sostegno e all’ascolto che ho ricevuto, mi sono ritrovata e ho avuto il coraggio di uscire dalla ragnatela che mi teneva legata. È stato il dono più bello che potessi fare a me stessa.
Grazie alla consulenza familiare.’